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Scelta attacco: rigido o resiliente?

Fino a qualche decennio fa si pensava che i collegamenti rigidi potessero sollecitare i denti pilastro oltre la capacità di carico e quindi erano considerati dannosi; pertanto la scelta era quasi sempre a favore degli attacchi resilienti.

Negli anni ‘70 si dimostrò che l’utilizzo di attacchi resilienti provocava una serie di svantaggi fra cui un elevato livello di riassorbimento delle creste alveolari e di conseguenza anche danni agli alveoli dei denti pilastro. Al contrario, gli attacchi rigidi inducevano poca atrofia delle creste ed avevano bisogno di limitati interventi di ribasatura.

In ogni caso la scelta fra un attacco rigido ed uno resiliente è basata fondamentalmente su tre fattori:

• La filosofia personale di progettazione del caso da parte dell’odontototecnico e dell’odontoiatra;

• Le condizioni specifiche del cavo orale;

• La direzione del carico occlusale sui denti pilastro.

 

La tendenza attuale è quella di adottare connessioni di tipo rigido, in netta controtendenza ad un passato dove prevalevano le connessioni di tipo resiliente.
Mentre nella protesi implantare, pur con qualche travisazione, prevale la connessione rigida, nella combinata tradizionale sorgono spesso dubbi sul come, sul quando e sul perché adottare una connessione rigida piuttosto che una resiliente.
 
Ma al di là delle varie scuole di pensiero, che possono interpretare diversamente comportamenti e conseguenze di una connessione rigida rispetto ad una connessione resiliente, esiste una motivazione “tecnica” facilmente decifrabile per poter valutare con un criterio riferibile quale sistema scegliere?
 
Senza approfondire troppo le motivazioni bio-meccaniche mediante le quali è possibile determinare i motivi che giustificano l’utilizzo di una soluzione rigida rispetto ad una soluzione resiliente, cerchiamo di immaginare, molto semplicemente, un modello teorico costituito dalla classica rappresentazione che si dà in fisica ai vari gradi di leve e cioè, solitamente, un fulcro sul quale appoggia un segmento (la leva) alle cui estremità vengono applicate da un lato la forza, dall’altro lato la resistenza.
Per chi non riesce ad immaginare questo modello teorico, un’altra possibile rappresentazione del sistema è data da quella specie di altalena orizzontale (da alcuni denominata pinco-panco) sulla quale i bambini giocano ad alzarsi ed abbassarsi alternativamente mediante la spinta delle gambe, con la differenza che nel nostro caso da entrambi i lati del segmento vengono applicate le forze, quelle di masticazione, naturalmente.
 
Quando gli elementi pilastro (denti naturali od impianti) sono posti sulla diametrale o sulla diagonale dell’arcata, in parziale o piena contrapposizione (es. 2 premolari o 1 canino ed 1 molare) sono consigliate connessioni resilienti, cioè libere di ruotare sull’asse del vincolo leva-fulcro, in modo che le sollecitazioni vengano trasmesse prevalentemente alle mucose e conseguentemente all’osso.
In caso di connessione protesica rigida, infatti, il vincolo leva-fulcro, attraversato dall’asse di rotazione che collega i due pilastri, diventa il punto di resistenza e le forze di masticazione che agiscono sulla protesi , e quindi sulla leva, il punto di forza.
Durante la masticazione, il punto di forza si sposta di continuo (secondo la posizione del cibo) e provoca al vincolo, cioè il pilastro, una sollecitazione (ed il conseguente movimento) bidirezionale estremamente dannosa.
Quando invece gli elementi pilastro (denti naturali od impianti) sono allineati lungo l’arcata e la linea immaginaria che li congiunge (di larghezza circa pari gli elementi ) rimane sulla dimensione dell’arcata stessa, oppure sono in opposizione ma tra di loro sono presenti altri pilastri sono consigliate connessioni rigide.
Le sollecitazioni che si generano, infatti, sono monodirezionali e quindi meno dannose in quanto alla cessazione del carico il pilastro non subisce una sollecitazione opposta e ritorna alla sua posizione fisiologica naturale.
 
 
E’ preferibile infatti, quando la situazione lo consente, caricare gli elementi pilastro e non le parti mucose e quindi l’osso.
E’ noto infatti che le protesi ad appoggio mucoso (totali, resilienti ed ammortizzate) provocano un riassorbimento osseo da 2 a 4 più veloce delle protesi rigide.

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